Claudia Andreotta ci racconta i segni di Igor Grigoletto.
Sĭgnum : un termine che aveva per i latini valenza polisemantica, indicando “segno visibile o sensibile di qualche cosa; insegna militare; astro» e ha mantenuto questa caratteristica nella traduzione italiana. Il “segno” può essere infatti un evento da cui trarre indizi, conoscenze, deduzioni, un atto compiuto per esprimere un sentimento, un cenno di comunicazione non verbale, un'impronta, indicare un limite, un simbolo, una caratteristica fisica, un bersaglio, un elemento convenzionale che rimanda ad altro come i segni matematici,...
Un' ulteriore accezione, ovvero “immagine scolpita o dipinta” non ha avuto altrettanta
fortuna, venendo generalmente utilizzata oggi nel senso di una traccia più o meno definita lasciata su una superficie. Tuttavia il segno è divenuto, insieme a forma e colore, uno dei capisaldi del linguaggio dell'arte contemporanea: immediata materializzazione del gesto dell'artista o meglio del suo stesso pensiero, portando a compimento quanto già teorizzato dal Vasari che attraverso il primato del disegno afferma come il lavoro artistico proceda dall’intelletto, esso afferma la sua
forza dalla rivoluzionaria firma di Duchamp sull'orinatoio (segno come traslazione dell'oggetto comune in oggetto d'arte), alle lacerazioni di Fontana (segno come spazialità), alle serie di Capogrossi (segno come combinazione), ai segni sul corpo (body art) e sull'ambiente (land art e street art).
Ogni segno è un'esperienza del vissuto è la frase con cui Igor Grigoletto afferma la propria declinazione di questa poetica. Nelle sue opere questo elemento “spezza” le superfici monocrome, dinamizzandole senza sminuirne il rigore formale: breve o continuo, ripetuto o singolo, esso non ha alcun intento decorativo, ma esprime un'emotività forte senza essere esibita, controllata e misurata come la matematica precisione con cui l'artista impiega gli smalti.
Attraverso il segno Grigoletto si
autoafferma, caricando di valenze esistenziali e mnemoniche non solo le opere su vetro (suo materiale prediletto), ma anche oggetti che recano già tracce del loro passato e della loro terra, la Liguria: i legni abbandonati sulla spiaggia, i sassi e le sportine in juta utilizzate nei frantoi, vengono solcati, legati con un filo rosso (un vero e proprio fil rouge, legame che unisce tempi e sentimenti ) che li trasforma in opere readymade attraverso il linguaggio della nostalgia e dell'intento di rinnovamento. Non a caso l'artista è anche ideatore di un alfabeto, ovvero di un insieme di segni grafici nel quale ognuno di essi corrisponde a una lettera: nella serie denominata appunto Alfabeti, lo spettatore, munito di una chiave di lettura, viene invitato a scoprire la parola tracciata sulla superficie.
Chi osserva l'arte di Grigoletto è comunque e sempre coinvolto in un gioco di relazione tra segni, non solo all'interno di una singola opera, ma tra di esse: nelle ultime mostre (e questa prima personale romana non fa eccezione) formelle quadrate di uguale dimensione sono collocate sul pavimento formando una composizione che dà modo di percorrere un itinerario di rimandi dialettici tra colori e segni, in una continuità rigorosa ma non rigida, che introduce idealmente il concetto di sfumatura in un mondo di campiture uniformi e specchianti. Apparentemente legate alla razionalità geometrico-matematica, le opere di Grigoletto nascono dal più profondo dei poteri ancestrali: agire trasformando il reale e trasfigurandolo attraverso la ritualità di un segno.
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