Fotagrafare l’in-visibile
- Stella Maresca
- 24 mar
- Tempo di lettura: 3 min
L’etimologia greca della parola “fotografia” deriva dal greco “graphein” (scrittura) e “photos” con la luce.
In Giappone, la parola usata per “fotografia” è shashin (写真), ed è formata da due ideogrammi, sha (写), ossia “riprodurre” o “riflettere”, e shin (真), “verità”. Nella derivazione di questa parola troviamo pertanto una potenzialità straordinaria: arrivare all’essenza pura e alla verità delle cose attraverso la luce.
Ma per poter illustrare il rapporto tra fotografia e verità è necessario indagare il significato di quest’ultima, andando ben oltre una semplicistica definizione. Attraverso un’immagine generata da uno smartphone o da una macchina fotografica, il fotografo rappresenta un istante, un minuscolo frammento di tempo che, a causa della luce, del movimento delle persone, del cambiare di un riflesso, non sarà mai uguale al precedente o al successivo.

Guido Piovene parlava non a caso del valore dell’attimo: “La grande rivoluzione che la fotografia ha portato nell’uomo è stata quella di insegnargli il gusto profondo, l’intimo senso che si trova in ogni attimo della nostra vita: un senso che sfugge vivendo, quando non si pensa a guardare la vita ma solo a sfruttarla”. L’occhio allenato del fotografo riconosce in quel fotogramma, una sensazione vissuta, una visione che risveglia una parte affettiva ed emozionale, un ricordo che è nell’anima ancor prima che nella memoria e lo restituisce allo spettatore.
Quindi, una natura rappresentativa della realtà e al tempo stesso evocativa.
Umberto Stefanelli, attraverso i suoi scatti, trascina lo spettatore in un’esperienza visiva unica in cui realtà e astrazione si incontrano in una danza di sfumature. Il colore non è mai un semplice dettaglio ma una chiave attraverso la quale il fotografo apre ad un mondo misterioso e al tempo stesso vibrante: quello che si cela dietro ai palazzi e alle architetture, composto dalle persone che dietro quelle finestre e all’interno di quegli spazi vivono, respirano, percorrono il loro quotidiano, vivendo l’ordinario e lo straordinario di ogni istante.

Una umanità che in questi scatti è invisibile eppure al tempo stesso palpabile. Il colore nelle immagini di Umberto Stefanelli non è un semplice dettaglio, ma una chiave che apre a un mondo vibrante, dove ogni sfumatura comunica qualcosa di profondo. Un rosso intenso attira l’attenzione, un blu profondo evoca tranquillità, le finestre che interrompono la notte sono un richiamo inevitabile per il viaggiatore lontano da casa; sono il confine tra un mondo interiore fatto di sentimenti privati e l’esterno. Una membrana tra il dentro e il fuori che segna il confine. Eyes behind the window è il titolo del progetto; non a caso Stefanelli declina la parola finestra al singolare: ognuna di essa racchiude una unicità, un particolare microcosmo di gioia, amore, vuoto o solitudine. Non è dato sapere.
Ogni scatto è un racconto intriso di forza e di passione e il fotografo stesso è interprete di un mondo sospeso di tutti e di nessuno in particolare, all’interno del quale spettatore e fotografo danzano insieme, ognuno con il suo personale e peculiare vissuto, sul sottile confine tra illusione e realtà.

Sia che stia documentando un Paese ai più sconosciuto come la Corea del Nord, sia che si trovi nel caos del mondo a Shinjuku o nei paesaggi desertici del Turkmenistan, Umberto Stefanelli attraverso i suoi scatti avvicina lo spettatore all’invisibile, a un mondo solo apparentemente tangibile, quello in cui l’immagine è generata ma che non vediamo nella sua interezza. Tutte le sue fotografie hanno una caratteristica comune: un fil rouge che trasporta lo spettatore in una dimensione che è altro, sospesa tra vissuto e onirico.
È anche un mirabile narratore Stefanelli: da giugno 2009 ha iniziato, su umbertostefanelli.com, un progetto di narrazione tra immagini e parole (fotografia e poesia al servizio del furore creativo) che è tuttora in corso.
Come un direttore di orchestra attraverso le immagini e le parole crea connessioni emotive, tesse narrazioni profonde, trasporta lo spettatore nel mondo delle invisibilia, in cui tutto può ancora accadere.

“Io non cerco fotografie, io vivo”, scrive Stefanelli sul suo blog. Una definizione che è un ottimo punto di partenza per apprezzare la bellezza di questa mostra. Pensare che la vita sia anche accettare di rimanere per un po’ sospesi in uno spazio indefinito. Senza particolari appigli e senza capire ma abbandonandosi a uno spazio bianco, e dare a noi stessi una nuova possibilità.
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