Il 24 gennaio è stata inaugurata una tua mostra personale alla Pavart di Roma dal titolo “Trimani o tenevai”; da dove nasce l’idea per questa esposizione?
Nasce dalla profonda stima che ho con Velia Littera. Nasce dall'idea lungimirante di Velia di illustrare la mia produzione nel modo più completo possibile. E' stata divertente la progettazione di questa mostra perchè ad un certo punto Velia mi ha detto divertita: ”Smettila di nascondermi le opere!” È stato molto bello per me. Spesso non penso di far vedere opere di anni precedenti, non per vergogna, la ragione è quella di pensare che le ultime siano più interessanti. Velia mi ha “costretto” a tirare fuori lavori molto “giovanili”. Mi ha fatto molto piacere scoprire che opere del 1999, del 1996 o precedenti riuscissero ad avere un grande impatto. È un difetto di noi artisti pensare che il passato sia meno incisivo o peggio “stantio”. Personalmente sono sempre in evoluzione, in una costante e snervante formazione, ragione per cui penso spesso che l'artista di ieri è meno preparato di quello di ora. Non mi accontento mai di me stesso, penso sempre che l'opera fatta oggi è meno “bella” dell'opera che sarà fatta domani. È solo una mia suggestione, ne sono consapevole ed è la dimostrazione che affidarsi ad un giudizio terzo competente è fondamentale per noi artisti. Come artista sono troppo coinvolto nel giudicare le mie opere, serve assolutamente una lettura fredda e neutrale del proprio lavoro. Velia Littera, Deborah Mennella ed Emanuela Di Vivona sono state pietre angolari nella costruzione della mostra “Trimani o tenevai”.
Qual è il tuo rapporto con la Pavart?
È un rapporto molto stimolante. Sono caratterialmente diffidente, ho imparato che nel mondo dell'arte fidarsi è bene e bellissimo, ma sé scattata la scintilla e ho capito che era la strada giusta. Ho detto quanto non sia sempre bello il mondo dell'arte, ma va detto anche che nel nostro settore, uno degli aspetti più affascinanti è “l'incontro”. Nel mare ci sono tanti squali, ma ci sono, in numero maggiore, tantissime persone speciali. Siamo tutti matti con gradazioni e sfumature diverse. Incontrasi è la cosa più bella, non so dire la ragione, ma quando nascono alcune relazioni è come conoscersi dalla scuola, essere cresciuti insieme. Onestamente è difficile descriverlo. Fidatevi mi è successo e mi succede.
Ora parliamo di te e della tua ricerca artistica, ci racconti com’è nata la tua passione per l’arte? Quando hai iniziato? Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente ispirato?
Come dico sempre, non ho mai smesso, è semplice. Sicuramente mio padre Marco mi ha stimolato facendomi crescere in un ambiente di libri, quadri ed artisti. Ho probabilmente deciso di fare l'artista nel 1987 con i primi quadri ad olio grazie all'incontro con il maestro romano Franco Giacchieri. Nella mia camera da letto c'erano opere di Mino Maccari, in casa Vangelli, Monachesi, Manzù ed altri. Ho avuto la fortuna di conoscerne alcuni come Matta. Gli altri sono gli Espressionisti tedeschi, il gruppo CoBrA, Bacon, Picasso ecc. Da bambino mi divertivo a sfogliare compulsivamente i libri di arte e ricordare autori e quadri e poi coprendo i nomi cercare di capire il nome in base alla memoria visiva dell'immagine e dello stile. Continuando a farlo forse ho sviluppato una memoria grafica sviluppata, ciò dimostra che è solo l'esercizio e l'allenamento che migliora le nostre capacità.
Qui esposte ci sono due opere degli anni ’90, non i tuoi primissimi lavori, ma comunque alcuni dei primi che hai realizzato. In “Amica” e “Ballo” possiamo vedere una componente emotiva davvero fortissima; cosa c’è di quel Giovanni nelle opere di oggi, e cosa invece non c’è più?
Ci sono sempre io, sicuramente nei lavori di 20/30 anni fa c'è una componente personale che sembra più forte. Qualche anno fa incontrai il direttore di un importante casa editrice italiana specializzata in arte, mi disse che la mia opera era interessante, ma era un'opera fatta da me e per me. L'opera era interessante, ma parlava solo di me stesso. Lo spettatore poteva confrontarsi con essa, ma nella scelta di essere autoreferenziale avevo dimenticato di parlare all'altro diverso da me. Oggi metto nei miei lavori tutto me stesso, ma cerco sempre di trovare un terreno comune per dialogare con l’osservatore. È la stessa scena che vive chiunque: in un bar due amici che parlano e si confrontano, uno è totalmente autoreferenziale e sbrodola tutti i suoi mali e le sue gioie, ma se l'altro cerca di condividere, presto si accorge che il primo non ascolta. Non è dialogo, è un monologo. L'opera non è un monologo, ma un dialogo tra la realtà proposta dall'artista e l'esperienza dell'osservatore.
Il colore è un elemento fondamentale nella tua arte, da dove deriva quest’attenzione particolare ad esso?
Ho sempre amato i colori anche contrastanti. Quando ero piccolo giravo molto con la mia famiglia in Europa visitando musei, cattedrali e monumenti. Davanti alle vetrate gotiche o romaniche rimanevo estasiato, il colore delle vetrate mi è rimasto dentro e cerco sempre quel tipo di effetto.
Da cosa o chi prendi ispirazione per realizzare le tue opere?
Analizzo la realtà che mi circonda in modo maniacale. Cerco sempre di comprendere i processi che ci sono dietro una storia che mi scorre davanti. Le mie opere sono la mia personale riflessione sulla nostra realtà. L'artista credo debba essere un setaccio, il flusso scorre in lui e poi rilascia ciò che lo ha colpito. Ogni opera dovrebbe aprire un dialogo ed una riflessione
Sei una persona molto riflessiva o impulsiva quando lavori ad un’opera?
Rifletto moltissimo, immagino, disegno nella mia testa. Spesso mi scopro impulsivo nell'atto di lavorare, in realtà rilascio le energie e le idee accumulate. Non sempre il processo è consapevole, spesso mi è capitato di constatare quanto l'atto apparentemente estemporaneo fosse invece figlio di precedenti riflessioni.
Ho notato che spesso le tue opere sono accompagnati da poesie, componimenti, quanto è importante per te la parola?
Le parole sono importanti perchè chiarificano il pensiero. Se lo sai spiegare ad un bambino sei padrone della materia. Spesso scrivo molto prima di iniziare una serie o un progetto, mi serve per capire se c'è chiarezza nei miei pensieri. Le opere che possono sembrare astratte, sono sempre accompagnate da un pensiero consapevole, da una chiarezza lucente. La parola per me è colore, i miei testi sono quadri colorati.
In questa mostra abbiamo avuto l’occasione di osservare i tuoi primi passi, ma c’è tanto altro nella tua arte. Hai dei progetti futuri a cui stai già lavorando? Ce ne vuoi parlare?
Sicuramente nei prossimi mesi con la Galleria Pavart organizzeremo altre mostre sul mio percorso fino agli ultimi lavori, ci saranno, spero, delle belle sorpre. Tra il 2020 ed il 2021 ho realizzato un opera/installazione molto particolare, e con la collaborazione del fotografo Mattia Crocetti stiamo elaborando un progetto di performance/esibizione con articolazioni nella multimedialità. Confesso che per me un terreno nuovo, ma questa nuova opera è molto sentita da me ed è una delle poche che racchiude tutte le fasi della mia vita e della progettazione della stessa.
Ormai è da tanti anni che hai dedicato anima e corpo al mondo dell’arte, ti senti di dare un consiglio ai giovani artisti che si stanno approcciando a questo mondo?
Non risparmiatevi mai, imparate a misurare le persone che avete davanti senza mai, mai, mai dimenticare lo stupore di un incontro. Non vi abbandonate al cinismo. Quando si fa un lavoro così coinvolgente il rischio è il cinismo di sentirsi arrivati o rifiutati. Non diventate dei pazzi esaltati ed autoreferenziali, ma assolutamente non cullatevi nella dolcezza di sentirvi il brutto anatroccolo deriso e respinto. Sareste in ambo gli scenari ridicoli, analizzate le vittorie come fossero sconfitte, nulla avviene per caso, nulla è un caso. Nessuno è indispensabile, gli artisti lo sono meno degli altri, anche quelli considerati geniali. Guardate il cuore di chi vi è accanto e nutrite la vostra anima con del cibo ottimo. Come il corpo anche l'anima ha bisogno di cibo, le idee, come il corpo soccombe con il junk food, preservate la vostra anima da pensieri spazzatura. Coltivate una solida etica del vostro lavoro, fare l'artista vuol dire essere un privilegiato ed il privilegio comporta un dovere. Il dovere dell'artista è quello di rispettare sempre l'osservatore, senza il pubblico che guarda ogni opera sarebbe un fiore sterile. Possiamo essere il fiore più sgargiante, per maturare abbiamo bisogno dell'intervento di qualcosa, lo spettatore è l'artefice della magia, accende l'opera, la fa vibrare. Senza essere vista l'opera è inerte. Fa rumore un albero che cade in una foresta deserta?
E vuoi dire qualcosa o lasciare un messaggio ai visitatori della mostra o ai fruitori della tua arte?
Sono un semplice essere umano. Sedetevi davanti a me, guardiamoci negli occhi, anche senza parlare senza sapere nulla dell'altro. Apriamoci l'uno all'altro senza remore, confrontiamoci. Il confronto è alla base di tutto il mio lavoro, non pretendo di piacere a chiunque e non tutti gli incontri sono fruttuosi. Bisogna però incontrare, confrontarsi, stabilire ponti, avere empatia. Spero di lasciare questo ai visitatori, sempre una porta aperta. Vorrei che tutti entrassero nel mio mondo, non voglio piacere a tutti i costi, ma avere un dialogo è il mio fine.
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